lunedì 25 gennaio 2016

La Tecnica VAAFT


 



 

Il seguente articolo rappresenta una esplicazione in primis (con preponderanza di termini proctologici) medico-scientifica, volta ad illustrare la tecnica di trattamento delle fistole.
In questo modo lo scrivente mira ad una progressiva consapevolezza per quei pazienti che optino per tale tipo di cura.


La VAAFT (Visual Assisted Anal Fistula Treatment) è un metodo relativamente recente nel campo proctologico (nasce nel 2006), ed esattamente indica il “trattamento di fistole complesse video-assistito”.
Essa presenta due fasi, le quali la contraddistinguono da qualsiasi altra tecnica: una fase diagnostica ed una operativa.
Dal S. Mark Hospital di Londra (uno dei principali santuari della proctologia) proviene un lavoro interessante, il quale discorre di una percentuale di “lay open” energico, cioè apertura degli sfinteri (vale a dire gli anelli muscolari del canale anale), pulizia completa e ricostruzione immediata, ma con percentuali di incontinenza non trascurabili (30% ai gas, 4% alle feci solide e l’8% di questi pazienti costretto a portare un pannolone).
In origine veniva utilizzato il ‘setone’ (un filo di sutura o un elastico passato dall’orifizio sulla pelle lungo il tramite della fistola). Il primo era stato posizionato nel 430 a.C. nell’antica Grecia da parte di Ippocrate, utilizzando un crine di cavallo; oggi usiamo tutt’altro tipo di tecnologia, altri materiali, ma concettualmente il setone è quello che in questi anni ha resistito di più in chirurgia.
Da quando viene utilizzata la VAAFT, rileviamo troppo spesso setoni posizionati in modo non corretto. In base a diversi studi mediante la tecnica della fistuloscopia su pazienti con il setone, nel 59,4% dei casi quest’ultimo risulta posizionato in modo non opportuno (come detto).
Quali sono le cause per cui una fistola può recidivare?
A modesto parere dello scrivente ci “giochiamo” la fistola il primo giorno in cui viene rilevata. In quel preciso momento il futuro del paziente è nella mani del proctologo.
L’inadeguato uso dello ‘specillo’ (lo strumento per la esplorazione della cavità), la mancata localizzazione dei ‘passaggi’ (tramiti) secondari, delle cavità ascessuali e anche il 20% delle fistole semplici, recidivano per la presenza di questi elementi, anche se piccoli, ma misconosciuti.
Fino ad oggi siamo stati abituati ad operare talvolta anche alla cieca, pur avendo immagini a disposizione ottime grazie all’ecografia transanale e alla risonanza magnetica. Ma poi quella fistola la dobbiamo operare e se si tratta di una fistola “alta”, che coinvolge gli sfinteri, si possono avere tutte le immagini che vogliamo, ma non esiste in letteratura alcun lavoro che affermi che se abbiamo delle buone immagini, vi sarà anche un miglioramento delle guarigioni.
La VAAFT è un nuovo modo di vedere un grosso problema, nel senso vero; la visione diretta che la contraddistingue da tutte le altre. La fase diagnostica è la fistuloscopia. Noi abbiamo di fronte un paziente con uno, due, tre orifizi esterni e semplicemente inseriamo il fistuloscopio (una speciale ottica introdotta nella fistola stessa mediante un sistema video) attraverso di essi per vedere dove esso va a finire. Poi, nel medesimo momento, possiamo trattare direttamente la fistola. Trattare quindi le fistole dal punto di vista endoscopico.


Com’è composto il kit del trattamento?
Deriva da un cistoscopio (strumento a fibre ottiche per l’asportazione) pediatrico a cui si aggiunge una maniglia removibile, che ci aiuta nei movimenti all’interno della fistola. Il suo diametro è 3,2 x 4,8 mm (quindi ellittico), ha un canale operativo e di irrigazione ed un canale a fibre ottiche. Il kit si completa con un elettrodo monopolare, con delle pinze particolari endoscopiche, che possono entrare all’interno del fistuloscopio.
Innanzitutto occorre rimuovere l’orifizio esterno, in modo da poter introdurre più facilmente il fistuloscopio. Ovviamente, quando gli orifizi esterni risultano chiusi, è necessario attendere che la fistola si apra. Allora è il momento giusto per operarla.

Fase diagnostica.
Quali sono i principi?
Localizzazione dell’orifizio interno, dei tramiti secondari e delle cavità ascessuali attraverso:
1)    l’inserimento del fistuloscopio, giungendo all’orifizio interno, il quale può essere aperto (ma molte volte anche chiuso, molto stretto, difficilmente raggiungibile);
2)    l’isolamento dell’orifizio interno.
Così si conclude la prima fase, nel senso che occorre successivamente isolare l’orifizio interno, non perdendolo durante la fase operativa.
Vediamo nel dettaglio un caso scolastico.
Si entra con il fistuloscopio mediante movimenti combinati tra lo strumento e il dito. In tal caso l’orifizio rimane aperto e lo si isola con 2 punti. Conclusione della fase diagnostica.
Il tramite primario, entrando nell’altra cavità, rappresenta il bivio che s’incontra quando si presenta il tramite secondario.
La prosecuzione conduce poi ad una cavità ascessuale che si presenta come un piccolo neo retto.

Fase operativa.
Il nostro scopo è quello di distruggere la fistola, ma anche di pulirla dall’interno, di rimuovere questo materiale che abbiamo necrotizzato, e chiudere l’orifizio interno. In che modo? Facciamo passare attraverso il fistuloscopio un elettrodo monopolare, collegato con un elettrobisturi, iniziando così la distruzione sotto visione (alla stregua degli urologi per la TURP – la resezione transuretrale della prostata Transurethral Resection of the Prostate). Poi per la pulizia inseriamo un endobrush (lo spazzolino chirurgico) all’interno del fistuloscopio, oppure, se la fistola è dritta e non vi sono problemi, anche con un cucchiaio di Volkmann (uno spazzolino endocervicale monouso).
In seguito è necessario chiudere l’orifizio interno.
Se la fistola non è mai stata operata apponiamo due punti di sutura sull’orifizio interno, con una suturatrice lineare e lunga 2-3 cm al massimo (senza dolore).
E’ possibile chiuderla con una suturatrice semicircolare, con una lineare o un modello roticulator oppure, nella maggior parte dei casi, con un flap. Discorriamo di fistole complesse e quindi di pazienti operati 3, 4, 5 o 6 volte. Il problema è che l’orifizio interno risulta sclerotico, duro. Di conseguenza è difficile ottenere una trazione. Siamo costretti ad utilizzare un flap, ma il suo utilizzo, come sappiamo dalla letteratura medico-scientifica, non garantisce risultati così buoni (casi dal 50% al 70%). In conclusione se utilizziamo il citato flap, occorre inserire un piccolo catetere subito dietro alla sutura ed introdurre mezzo millilitro di cianoacrilato sintetico, in modo da rinforzare ulteriormente il flap medesimo.

Fase post-operatoria
Nel post-operatorio, le secrezioni devono uscire almeno per un mese.
Abbandonando il retto dall’orifizio interno all’orifizio esterno si procede al cambiamento  dell’otturatore e al posizionamento dell’elettrodo. Si inizia poi a distruggere la fistola, non dimenticando i tramiti secondari e le cavità.
In seguito viene inserita la spazzola per pulire in questo modo (naturalmente usando il retto come un serbatoio per far uscire tutte le secrezioni dall’orifizio interno) oppure in questo caso, con un cucchiaio di Volkmann, eseguendo una trazione importante sull’orifizio interno con chiusura lineare (dipende dalla posizione dell’orifizio interno) oppure con un flap.
Infine qualche millilitro di glucosata (una soluzione perfusionale di zucchero), che fa polimerizzare (vale a dire la creazione di una grande molecola da più molecole) meglio il glubran (cioè il cianoacrilato sintetico), che viene posizionato subito dietro la sutura e l’eccesso viene rimosso dal tramite fistoloso per evitarne la chiusura, che va invece lasciata aperta. Viene chiesto ai pazienti di mantenere almeno 2-3 settimane aperti gli orifizi esterni, mediante piccoli lavaggi con soluzione fisiologica.
Quando stiamo per operare una fistola dobbiamo tenere presente che il 60% di quelle trattate presunte complesse, hanno comunque un tramite secondario o una cavità ascessuale da qualche parte. L’orifizio interno viene localizzato nel canale anale; la localizzazione dell’orifizio interno e il tempo d’intervento attualmente da ore si è ridotto ormai a 35-40 minuti.
Nonostante le recidive, i pazienti richiedono l’intervento di VAAFT, in quanto coloro che si sottopongono ad interventi tradizionali, rifiutano categoricamente di andare di nuovo sotto i ferri con i metodi conosciuti.
Questo è un dato importante, poichè il Ministero della Salute (nel 2005) parlava di 5.000 casi l’anno. Oggi una nuova indagine epidemiologica parla di 25.000 casi, dato che vi sono almeno 3-4 volte tanto di persone che non si recano più dal medico, perché operati più volte, tenendosi la propria  incontinenza e rifiutando una stomia (l’apertura sulla parete addominale che mette in comunicazione l’apparato intestinale e urinario con l’esterno). E’ un dato veramente considerevole.
A differenza di altre tecniche, è una chirurgia che tiene nel tempo. La L.I.F.T. (Ligation of Intersphincteric Fistula Tract – Tratto Intersfinterico della Fistola) , pur essendo un’ottima tecnica, dopo un anno rivela una tenuta, una guarigione del 75% dei casi. Ma dopo un anno, questa percentuale decresce e va al 56-57%.
Se si superano i 2 anni, il 94,7% degli assistiti guarisce. La probabilità di avere una recidiva, misurata con la curva di Kaplan Meier (la quale si utilizza per stimare la funzione di sopravvivenza di dati relativi alla durata di vita), è più frequente nei primi 4 mesi. Distinguendo i pazienti che vengono operati in cui l’orifizio interno è stato chiuso con la suturatrice da quelli invece a cui è stata applicata la chiusura con il flap. Risulta un netto vantaggio negli assistiti con la chiusura dell’orifizio interno tramite suturatrice (esattamente l’82%); da chiusura con flap il 69%. Una significativa differenza.
Generalmente viene demandato ai pazienti se dopo l’intervento vi erano variazioni nel loro stato più o meno compromesso di incontinenza. La risposta globale è “No, non abbiamo mai avuto un peggioramento dell’incontinenza” (come dimostrato dal “questionario” del Prof. Piercarlo Meinero – la massima autorità proctologica mondiale nonché ideatore della tecnica, di recente operante presso l’Ospedale di Negrar). E anche come qualità di vita vengono taciute tutte le discussioni tra tecniche tradizionali e la VAAFT o comunque con le tecniche meno invasive.
Questa è la diffusione attuale; ovviamente è in costante aggiornamento in quanto i Centri vanno aumentando (Singapore e Città del Messico in ordine di tempo).
Le disparità balzano subito agli occhi, la visione diretta è l’aspetto più importante della tecnica.
Non vi sono ferite chirurgiche, il paziente non ha bisogno di medicazioni importanti. Non ci possono essere lesioni allo sfintere, perché passiamo all’interno della fistola e questa passa all’interno degli sfinteri, quindi se non diamo potenze eccessive alla “cauterizzazione” (vale a dire l’applicazione circoscritta di alte temperature sull’organismo attraverso uno strumento particolare), danni non ne possiamo fare.
Quindi utilizzare il fistuloscopio solo dal punto di vista operativo e sapere prima che tipo di fistola dobbiamo trattare, non ci interessa. Nella classificazione della fistola ai fini dell’intervento ed ai fini scientifici (la documentazione è fondamentale), la fistuloscopia è un nuovo concetto che dovrà essere introdotto.
Spero di non aver abusato di tecnicismi, ma questa è la realtà attuale e il futuro della proctologia.
Riccardo Bacchelli diceva «la verità è come il cauterio del chirurgo, brucia, ma risana».
E la VAAFT non brucia.

Veritas filia temporis


Dott. Remo Andreoli

15 gennaio 2016