Il seguente articolo
rappresenta una esplicazione in primis (con preponderanza di termini
proctologici) medico-scientifica, volta ad illustrare la tecnica di trattamento
delle fistole.
In questo modo lo
scrivente mira ad una progressiva consapevolezza per quei pazienti che optino
per tale tipo di cura.
La VAAFT (Visual
Assisted Anal Fistula Treatment) è un metodo relativamente recente nel
campo proctologico (nasce nel 2006), ed esattamente indica il “trattamento di fistole complesse
video-assistito”.
Essa presenta due fasi, le quali la
contraddistinguono da qualsiasi altra tecnica: una fase diagnostica ed
una operativa.
Dal S. Mark Hospital di Londra (uno dei principali
santuari della proctologia) proviene un lavoro interessante, il quale discorre di
una percentuale di “lay open” energico, cioè apertura degli
sfinteri (vale a dire gli anelli muscolari del canale anale), pulizia completa
e ricostruzione immediata, ma con percentuali di incontinenza non trascurabili
(30% ai gas, 4% alle feci solide e l’8% di questi pazienti costretto a portare
un pannolone).
In origine veniva utilizzato il ‘setone’ (un
filo di sutura o un elastico passato dall’orifizio sulla pelle lungo il tramite
della fistola). Il primo era stato posizionato nel 430 a.C. nell’antica Grecia
da parte di Ippocrate, utilizzando un crine di cavallo; oggi usiamo tutt’altro
tipo di tecnologia, altri materiali, ma concettualmente il setone è quello che
in questi anni ha resistito di più in chirurgia.
Da quando viene utilizzata la VAAFT, rileviamo
troppo spesso setoni posizionati in modo non corretto. In base a diversi studi mediante
la tecnica della fistuloscopia su pazienti con il setone, nel 59,4% dei casi
quest’ultimo risulta posizionato in modo non opportuno (come detto).
Quali sono le cause per cui una fistola può
recidivare?
A modesto parere dello scrivente ci “giochiamo” la
fistola il primo giorno in cui viene rilevata. In quel preciso momento il
futuro del paziente è nella mani del proctologo.
L’inadeguato uso dello ‘specillo’ (lo
strumento per la esplorazione della cavità), la mancata localizzazione dei
‘passaggi’ (tramiti) secondari, delle cavità ascessuali e anche il 20% delle
fistole semplici, recidivano per la presenza di questi elementi, anche se
piccoli, ma misconosciuti.
Fino ad oggi siamo stati abituati ad operare talvolta
anche alla cieca, pur avendo immagini a disposizione ottime grazie
all’ecografia transanale e alla risonanza magnetica. Ma poi quella fistola la
dobbiamo operare e se si tratta di una fistola “alta”, che coinvolge gli
sfinteri, si possono avere tutte le immagini che vogliamo, ma non esiste in letteratura
alcun lavoro che affermi che se abbiamo delle buone immagini, vi sarà anche un
miglioramento delle guarigioni.
La VAAFT è un nuovo modo di vedere un grosso
problema, nel senso vero; la visione diretta che la contraddistingue da tutte
le altre. La fase diagnostica è la fistuloscopia. Noi abbiamo di fronte
un paziente con uno, due, tre orifizi esterni e semplicemente inseriamo il
fistuloscopio (una speciale ottica introdotta nella fistola stessa mediante un
sistema video) attraverso di essi per vedere dove esso va a finire. Poi, nel medesimo
momento, possiamo trattare direttamente la fistola. Trattare quindi le fistole
dal punto di vista endoscopico.
Com’è composto il kit
del trattamento?
Deriva da un
cistoscopio (strumento a fibre ottiche per l’asportazione) pediatrico a cui si
aggiunge una maniglia removibile, che ci aiuta nei movimenti all’interno della
fistola. Il suo diametro è 3,2 x 4,8 mm (quindi ellittico), ha un canale
operativo e di irrigazione ed un canale a fibre ottiche. Il kit si completa con
un elettrodo monopolare, con delle pinze particolari endoscopiche, che possono
entrare all’interno del fistuloscopio.
Innanzitutto occorre
rimuovere l’orifizio esterno, in modo da poter introdurre più facilmente il
fistuloscopio. Ovviamente, quando gli orifizi esterni risultano chiusi, è
necessario attendere che la fistola si apra. Allora è il momento giusto per
operarla.
Fase diagnostica.
Quali sono i principi?
Localizzazione
dell’orifizio interno, dei tramiti secondari e delle cavità ascessuali
attraverso:
1) l’inserimento del fistuloscopio, giungendo all’orifizio
interno, il quale può essere aperto (ma molte volte anche chiuso, molto
stretto, difficilmente raggiungibile);
2) l’isolamento dell’orifizio interno.
Così si conclude la prima
fase, nel senso che occorre successivamente isolare l’orifizio interno, non
perdendolo durante la fase operativa.
Vediamo nel dettaglio
un caso scolastico.
Si entra con il fistuloscopio
mediante movimenti combinati tra lo strumento e il dito. In tal caso l’orifizio
rimane aperto e lo si isola con 2 punti. Conclusione della fase diagnostica.
Il tramite primario, entrando
nell’altra cavità, rappresenta il bivio che s’incontra quando si presenta il
tramite secondario.
La prosecuzione
conduce poi ad una cavità ascessuale che si presenta come un piccolo neo retto.
Fase operativa.
Il nostro scopo è
quello di distruggere la fistola, ma anche di pulirla dall’interno, di
rimuovere questo materiale che abbiamo necrotizzato, e chiudere l’orifizio
interno. In che modo? Facciamo passare attraverso il fistuloscopio un elettrodo
monopolare, collegato con un elettrobisturi, iniziando così la distruzione
sotto visione (alla stregua degli urologi per la TURP – la resezione
transuretrale della prostata Transurethral
Resection of the Prostate). Poi per la pulizia inseriamo un endobrush (lo spazzolino chirurgico) all’interno
del fistuloscopio, oppure, se la fistola è dritta e non vi sono problemi, anche
con un cucchiaio di Volkmann (uno spazzolino endocervicale monouso).
In seguito è
necessario chiudere l’orifizio interno.
Se la fistola non è
mai stata operata apponiamo due punti di sutura sull’orifizio interno, con una
suturatrice lineare e lunga 2-3 cm al massimo (senza dolore).
E’ possibile chiuderla
con una suturatrice semicircolare, con una lineare o un modello roticulator oppure, nella maggior parte
dei casi, con un flap. Discorriamo di
fistole complesse e quindi di pazienti operati 3, 4, 5 o 6 volte. Il problema è
che l’orifizio interno risulta sclerotico, duro. Di conseguenza è difficile
ottenere una trazione. Siamo costretti ad utilizzare un flap, ma il suo utilizzo, come sappiamo dalla letteratura medico-scientifica,
non garantisce risultati così buoni (casi dal 50% al 70%). In conclusione se
utilizziamo il citato flap, occorre
inserire un piccolo catetere subito dietro alla sutura ed introdurre mezzo
millilitro di cianoacrilato sintetico, in modo da rinforzare ulteriormente il flap medesimo.
Fase post-operatoria
Nel post-operatorio,
le secrezioni devono uscire almeno per un mese.
Abbandonando il retto dall’orifizio
interno all’orifizio esterno si procede al cambiamento dell’otturatore e al posizionamento dell’elettrodo.
Si inizia poi a distruggere la fistola, non dimenticando i tramiti secondari e
le cavità.
In seguito viene
inserita la spazzola per pulire in questo modo (naturalmente usando il retto
come un serbatoio per far uscire tutte le secrezioni dall’orifizio interno)
oppure in questo caso, con un cucchiaio di Volkmann, eseguendo una trazione
importante sull’orifizio interno con chiusura lineare (dipende dalla posizione
dell’orifizio interno) oppure con un flap.
Infine qualche
millilitro di glucosata (una soluzione perfusionale di zucchero), che fa polimerizzare
(vale a dire la creazione di una grande molecola da più molecole) meglio il glubran (cioè il cianoacrilato
sintetico), che viene posizionato subito dietro la sutura e l’eccesso viene
rimosso dal tramite fistoloso per evitarne la chiusura, che va invece lasciata
aperta. Viene chiesto ai pazienti di mantenere almeno 2-3 settimane aperti gli
orifizi esterni, mediante piccoli lavaggi con soluzione fisiologica.
Quando stiamo per
operare una fistola dobbiamo tenere presente che il 60% di quelle trattate
presunte complesse, hanno comunque un tramite secondario o una cavità
ascessuale da qualche parte. L’orifizio interno viene localizzato nel canale
anale; la localizzazione dell’orifizio interno e il tempo d’intervento
attualmente da ore si è ridotto ormai a 35-40 minuti.
Nonostante le recidive,
i pazienti richiedono l’intervento di VAAFT, in quanto coloro che si
sottopongono ad interventi tradizionali, rifiutano categoricamente di andare di
nuovo sotto i ferri con i metodi conosciuti.
Questo è un dato
importante, poichè il Ministero della Salute (nel 2005) parlava di 5.000 casi
l’anno. Oggi una nuova indagine epidemiologica parla di 25.000 casi, dato che
vi sono almeno 3-4 volte tanto di persone che non si recano più dal medico,
perché operati più volte, tenendosi la propria
incontinenza e rifiutando una stomia (l’apertura sulla parete addominale
che mette in comunicazione l’apparato intestinale e urinario con l’esterno). E’
un dato veramente considerevole.
A differenza di altre
tecniche, è una chirurgia che tiene nel tempo. La L.I.F.T. (Ligation of Intersphincteric Fistula Tract – Tratto Intersfinterico della
Fistola) , pur essendo un’ottima tecnica, dopo un anno rivela una tenuta, una
guarigione del 75% dei casi. Ma dopo un anno, questa percentuale decresce e va
al 56-57%.
Se si superano i 2
anni, il 94,7% degli assistiti guarisce. La probabilità di avere una recidiva,
misurata con la curva di Kaplan Meier (la quale si utilizza per stimare la
funzione di sopravvivenza di dati relativi alla durata di vita), è più
frequente nei primi 4 mesi. Distinguendo i pazienti che vengono operati in cui
l’orifizio interno è stato chiuso con la suturatrice da quelli invece a cui è
stata applicata la chiusura con il flap.
Risulta un netto vantaggio negli assistiti con la chiusura dell’orifizio
interno tramite suturatrice (esattamente l’82%); da chiusura con flap il 69%. Una
significativa differenza.
Generalmente viene
demandato ai pazienti se dopo l’intervento vi erano variazioni nel loro stato
più o meno compromesso di incontinenza. La risposta globale è “No, non abbiamo mai avuto un peggioramento dell’incontinenza” (come
dimostrato dal “questionario” del Prof. Piercarlo Meinero – la massima autorità
proctologica mondiale nonché ideatore della tecnica, di recente operante presso
l’Ospedale di Negrar). E anche come qualità di vita vengono taciute tutte le
discussioni tra tecniche tradizionali e la VAAFT o comunque con le tecniche
meno invasive.
Questa è la diffusione
attuale; ovviamente è in costante aggiornamento in quanto i Centri vanno
aumentando (Singapore e Città del Messico in ordine di tempo).
Le disparità balzano
subito agli occhi, la visione diretta è l’aspetto più importante della tecnica.
Non vi sono ferite
chirurgiche, il paziente non ha bisogno di medicazioni importanti. Non ci
possono essere lesioni allo sfintere, perché passiamo all’interno della fistola
e questa passa all’interno degli sfinteri, quindi se non diamo potenze
eccessive alla “cauterizzazione” (vale a dire l’applicazione circoscritta di
alte temperature sull’organismo attraverso uno strumento particolare), danni
non ne possiamo fare.
Quindi utilizzare il
fistuloscopio solo dal punto di vista operativo e sapere prima che tipo di
fistola dobbiamo trattare, non ci interessa. Nella classificazione della
fistola ai fini dell’intervento ed ai fini scientifici (la documentazione è
fondamentale), la fistuloscopia è un nuovo concetto che dovrà essere
introdotto.
Spero di non aver
abusato di tecnicismi, ma questa è la realtà attuale e il futuro della
proctologia.
Riccardo Bacchelli
diceva «la verità è come il cauterio del
chirurgo, brucia, ma risana».
E la VAAFT non brucia.
Veritas filia temporis
Dott.
Remo Andreoli
15
gennaio 2016